Ieri 7 dicembre come Gulliver siamo scesə in piazza insieme insieme al gruppo Amnesty di Ancona, all’Anpi Ancona Sezione “Gino Tommasi” per affermare che il presidio per i diritti umani rappresenta una responsabilità inderogabile alla quale non possiamo in alcun modo sottrarci sia come comunità che come singoli individui. La libertà di espressione non si deve piegare alla forza bruta di qualche regime, e ci siamo schieratə in prima linea nella battaglia ai soprusi, alle violenze, alle censure.
La vicenda di Patrick Zaky ci conferma che, indipendentemente dalla collocazione geografica, il tema della libertà e della tutela dellə attivistə resta di primaria importanza. Ciò che è avvenuto a Patrick rappresenta un intollerabile attacco alla dignità individuale ed un vigliacco tentativo di colpire non solo il singolo, ma anche l’idea stessa di comunità.
Alla luce di questo, la nostra risposta non poteva che essere quella di scendere in piazza, tuttə insieme per abbracciare e sostenere Patrick ricordando che fa e sempre farà parte della nostra comunità, sia come studente universitario, sia come attivista, sia come persona.
Le condizioni a cui è stato sottoposto sono le riproposizioni di brutalità da parte di un potere che si manifesta attraverso l’oppressione e il dissenso, attraverso la violazione cinica e sistematica di ogni diritto e libertà, mantenendo un diffuso clima di terrore e paura.
La sua storia è la nostra storia: uno studente che sceglie di crescere, sceglie il sapere, l’istruzione, sceglie la ricerca, la libertà, sceglie di vedere e riscrivere il mondo, si impegna a lottare per tutte quelle cause legate alla violazione e alla salvaguardia dei diritti di tuttə.
Le cose che accomunano la storia di Patrick e le nostre storie terminano il giorno in cui è tornato a casa, in Egitto, lo stesso Egitto in cui, nello scorso decennio, si è instaurato al potere il generale Al-Sisi che ha imposto forti restrizioni dei diritti civili, facendo sì che la magistratura venisse controllata direttamente dal governo, un governo dittatoriale. Patrick, appena arrivato a Il Cairo viene catturato dai servizi segreti egiziani. Per 24 ore scompare, viene interrogato e torturato sul suo impegno nella difesa dei diritti umani e poi messo in detenzione in via preventiva per presunta cospirazione e sovversione. Da qui la storia di Patrick deraglia su un binario che lo porta a scontare 22 mesi di detenzione, 22 mesi di pena che, fin dal primo giorno, rappresentano un’ingiustizia e una violazione dei diritti umani.
La questione assume connotati ancora più inquietanti se si considera il contesto generale: questo tipo di pratica non è un caso isolato, ma incarna una metodologia premeditata e ampiamente consolidata nei confronti di attiviste ed attivisti che si impegnano nella difesa dei diritti civili ed umani.
L’Egitto, infatti, non è estraneo a casi di rapimenti, sparizioni forzate e torture, il tutto finalizzato a sopprimere qualsiasi forma di contestazione del regime; a dircelo sono i vari report, fra i quali quello di Amnesty intitolato “Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’.
Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al “terrorismo“ che ci restituisce un’immagine davvero macabra della situazione.
Le detenzioni preventive, i rinnovi continui che vanno ad allungare il periodo di detenzione, aggiungendo 45 giorni agli altri già scontati ingiustamente in cella, la mancanza di trasparenza in qualunque operazione e il mancato ascolto dellə detenutə sono frutto dei poteri speciali che la legislazione egiziana affibbia alla procura suprema, che ne abusa regolarmente.
Il quadro, però, risulta incompleto se non si analizza anche il comportamento che gli altri Paesi, tra cui l’Italia, hanno nei confronti di queste ingiustizie e di questa e di migliaia di altre vicende simili. Il nostro Paese continua a fare sempre troppo poco per le giovani vittime di ingiustizie come Zaki, avallando un ingiustificato immobilismo e portando avanti una politica che chiude gli occhi di fronte ad episodi in cui i diritti umani vengono violati.
Citando le parole di un’intervista a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty
“È come se l’Italia avesse accettato l’idea che si tratta di un eventuale caso di mala-giustizia egiziana nei confronti di un cittadino egiziano e che, dunque, si lascia fare alla magistratura egiziana non tenendo conto che Patrick ha anche una storia italiana”.
Il 7 dicembre segna il ventiduesimo mese di detenzione e anche la data dell’ultima udienza del processo a Patrick Zaki, e possiamo finalmente affermare che Patrick verrà scarcerato in seguito all’udienza che si è tenuta ieri mattina. Vorremmo poter dire che sia tutto finito, ma non è così; Patrick verrà strappato dalle condizioni disumane in cui versava nelle carceri egiziane, ma non è stato assolto dalle accuse. Non possiamo fermarci qui, è necessario continuare a chiedere la piena libertà di Patrick, che rimane sotto processo per la sua attività in difesa dei diritti umani. L’Europa, e l’Italia non possono far finta di niente: chiediamo che dicano basta alle relazioni diplomatiche ed economiche con il regime di Al-Sisi. Perciò continuiamo a lottare e a chiedere a gran voce libertà per Patrick Zaki e libertà per tuttə quellə studentə oppressə e ingiustamente detenutə.
Restiamo fermamente convintə che l’unica vera soluzione deve essere quella della solidarietà e del dovere di ingerenza umanitaria globale nei confronti dellə prigionierə di coscienza che trascende i confini.
