Evitare una condanna mentre è a palazzo Chigi. Non correre "un inutile rischio" nella consapevolezza che i magistrati del processo Mills "stanno fissando un'udienza a settimana" e che molto probabilmente l'esito del procedimento, previsto per settembre, non sarebbe favorevole.
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Silvio Berlusconi ha riaperto la sua personale 'guerra' contro i magistrati. "Vogliono la mia fine, ma io non lo permetterò" è stata la parola d'ordine con la quale il presidente del Consiglio è tornato in trincea contro le toghe. Da qui la decisione di presentare un emendamento al decreto sicurezza che consente di bloccare i processi meno gravi per un anno. Primo atto per arrivare al vero obiettivo: una legge che ricalchi il cosiddetto lodo Schifani che 'congela' i procedimenti per le alte cariche dello Stato per tutto il periodo del loro mandato.
Una scelta che non potrà non avere conseguenze pesanti nel dialogo con l'opposizione. A sentire chi racconta le ore di questo ultimo week end, Berlusconi ha infittito una volta di più i suoi contatti e ha consultato alleati, consiglieri e avvocati. Spiegano anche che per un momento il Cavaliere sia stato tentato dal lasciar perdere la norma blocca-processi. Un po' per sfida ("non hanno niente, non mi possono condannare") un po' per non gettare alle ortiche il filo del dialogo finora tenuto in vita con il Partito democratico. Come sempre, sarebbe stato Gianni Letta a invitare il premier a evitare uno scontro frontale, a consigliare maggiore prudenza. Ma sul Cavaliere alla fine ha prevalso la consulenza-consiglio del suo avvocato Niccolò Ghedini che gli avrebbe fatto notare che quello di una condanna era un rischio troppo grosso, che non si poteva correre.
In cuor suo Berlusconi non avrebbe voluto la prova di forza. Ma quando il barometro di Milano ha cominciato a volgere al cattivo tempo ha capito che il dado era tratto. L'accelerazione imposta dai giudici di Milano che hanno in cura il processo Mills è suonata sinistra (in senso lato…). Alcuni atteggiamenti delle toghe sono stati percepiti, viene spiegato "fin troppo zelanti" quasi provocate "da poca serenità" che nella cerchia del Cavaliere non è stata percepita come foriera di buone notizie.
Da qui la decisione di fugare ogni dubbio e di scegliere la strada di una sospensione che mette al riparo da ogni tiro mancino. Almeno finché si è a palazzo Chigi. Poi, tra qualche mese, interverrà il 'lodo' capace di impedire il processo per le alte cariche e la partita sarà definitivamente regolata.
D'altra parte, viene spiegato, Berlusconi sarebbe riuscito a superare anche le perplessità degli alleati. Da An è arrivato un sostanziale sì, sebbene qualche dubbio ci sia sulla tempistica dell'operazione. Alla Lega, che pure pubblicamente aveva fatto filtrare i suoi dubbi, il Cavaliere e il suo entourage avrebbero fatto notare che un'eventuale condanna del premier sarebbe ricaduta sull'intero governo, non solo su chi lo guida. E poi c'è il precedente del 'lodo Schifani', poi bocciato dalla Consulta, allora votato e difeso da tutta la coalizione, Lega compresa. Alla fine Roberto Maroni avrebbe dato un sostanziale placet a questo uno-due del premier per fermare i processi, ma con una solo 'paletto'.
"Questa volta – avrebbe detto il titolare dell'Interno – si fa tutto alla luce del sole". Anche da qui sarebbe derivata la scelta del presidente del Consiglio di 'intestarsi' direttamente l'operazione e mettere nero su bianco, in una lettera inviata al presidente del Senato Renato Schifani, non solo la difesa dell'emendamento blocca-processi ma anche il progetto di far varare dal Consiglio dei ministri una legge che ricalchi il famoso lodo. Ci sono tuttavia da superare i rilievi della Consulta e bisogna evitare 'sbavature' che portino a nuovi dubbi di costituzionalità. Per questo il lavoro sul nuovo testo prosegue certosino, con la solita super visione di Ghedini. Il ddl, viene spiegato, potrebbe essere pronto entro luglio. Tanto nel frattempo i processi del premier saranno comunque bloccati per un anno.